L’assalto del dubbio revisionista ai fondamenti della teoria rivoluzionaria marxista

 

 

Sommario:

 

1.      L’assalto del dubbio revisionista ai fondamenti della teoria rivoluzionaria marxista ( « Prometeo», N° 5, 1947 )

2.      Il ciclo storico dell’economia capitalistica ( « Prometeo», N° 5, 1947 )

3.      Il ciclo storico del dominio politico della borghesia ( « Prometeo», N° 5, 1947 )

 

 

 

L’assalto del dubbio revisionista ai fondamenti della teoria rivoluzionaria marxista

 

La portata dei più recenti eventi è talmente formidabile, che sembra giustificare un riesame di tutte le posizioni critiche circa i caratteri dello svolgimento del mondo moderno, anche da parte del movimento di avanguardia delle classi lavoratrici. Su queste esigenze e sul caos determinato dalle ripercussioni della guerra speculano gli esponenti delle tendenze opportunistiche, espressione dell’influenzamento borghese sulla ideologia del proletariato, per spezzare nelle mani di questo, prima delle armi materiali, quelle della sua critica rivoluzionaria.

È sempre valida la impostazione critica formulata dal marxismo, secondo la quale il moderno sistema economico e di governo della borghesia capitalistica, descrivendo nella storia una immensa parabola, sorge dal rovesciamento rivoluzionario dei regimi feudali, attua la liberazione di imponenti forze produttive sorte dalle nuove risorse tecniche a disposizione del lavoro umano, consente ad esse, dapprima, un ritmo sempre più vasto, un’espansione irresistibile in tutto il mondo conosciuto, ma, ad un certo stadio dello sviluppo, non può più contenere nei suoi schemi di organizzazione sociale, statale e giuridica queste enormi forze, e cade in una crisi finale per il rivoluzionario prorompere della principale forza di produzione, la classe dei lavoratori, che attuerà un nuovo ordine sociale?

La via attraverso la quale questa classe raggiunge il suo posto di nuova protagonista della storia è quella della organizzazione di essa in un partito politico, depositario della teoria critica rivoluzionaria, che inquadra le forze avverse alla classe dominante, e le conduce nella lotta contro di questa fino alla guerra civile, alla istituzione della dittatura del proletariato, che realizzerà la trasformazione del vecchio meccanismo economico?

Ovvero, come in tutte le grandi svolte della storia contemporanea si è sostenuto da tante parti, e come più che mai oggi si sostiene, gli eventi costringono a valutare diversamente queste aperte antitesi tra forze sociali ed epoche storiche opposte, ed indica al proletariato, soprattutto nel quadro dei tremendi schieramenti di forze materiali offerti dalle guerre, altre prospettive ed altre esigenze più urgenti di quelle del superamento definitivo del sistema borghese, prospettive ed esigenze che lo inducono ad associazioni di forze con gruppi politici e nazionali della classe dominante?

L’interrogativo, negli stadi storici che precedettero i colossali scontri militari, veniva posto in termini ben diversi, ma conduceva sempre a scuotere l’orientamento classista degli strati più risoluti della classe lavoratrice.

La società borghese appariva svolgersi, con l’aumento della sua ricchezza ed il diffondersi di nuovi bisogni e nuovi mezzi per soddisfarli, verso forme più alte della cosiddetta vita civile; ed allora, sempre al fine di una revisione della diagnosi rivoluzionaria marxista, si chiedeva suggestivamente se non era possibile, evitando il sanguinoso epilogo della guerra di classe, inserire in un placido graduale tramonto della società borghese il generarsi delle nuove forze della società del lavoro.

Dinanzi a questi recenti e vecchi dubbi critici, va riproposta nei suoi termini essenziali la posizione critica propria del partito di classe del proletariato al confronto dei dati dei nuovi tempi.

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Il ciclo storico dell’economia capitalistica

 

Il modo capitalistico di produzione vive già sotto i regimi feudali, semiteocratici e di monarchia assoluta, ed ha per caratteristica economica il lavoro associato, per cui il singolo operaio non può compiere tutte le operazioni necessarie a confezionare il prodotto e queste invece sono affidate in tempi successivi a vari operatori.

A questo fatto tecnico derivato dalle nuove scoperte ed invenzioni, corrisponde il fatto economico che la produzione delle manifatture e delle fabbriche vince per maggiore rendimento e minor costo del prodotto quella della bottega dell’artigiano, ed il fatto giuridico che il lavoratore non è più padrone del prodotto del suo lavoro, e non può porlo a suo vantaggio sul mercato. Quegli che detiene i nuovi mezzi tecnici e si rende possessore dei più complessi strumenti di lavoro che consentono l’opera associata, diviene proprietario del prodotto, ed ai cooperatori della produzione versa una mercede in denaro.

Il capitalista ed il salariato sono apparsi, scindendosi dalla figura unitaria dell’artigiano. Ma le leggi della vecchia società feudale impediscono che il processo si generalizzi, immobilizzando in schemi reazionari la disciplina delle arti e dei mestieri, frenando lo sviluppo dell’industria che minaccia la dominante classe dei proprietari terrieri, vincolando il libero flusso delle merci nelle nazioni e nel mondo.

La rivoluzione borghese sorge da questo contrasto, ed è la guerra sociale che i capitalisti scatenano e conducono per liberare sé stessi dalle servitù e dalle dipendenze dei vecchi ceti dominanti, per liberare le forze della produzione dai vecchi divieti, e per liberare dalle stesse servitù e dagli stessi schemi le masse degli artigiani e dei piccoli possidenti, che devono fornire l’esercito dei salariati e che devono diventare libere di portare al mercato la loro forza di lavoro.

È questa la prima fase dell’epoca borghese; la parola del capitalismo in economia è quella della libertà illimitata di ogni attività economica, della abrogazione di ogni legge e vincolo posto dal potere politico al diritto di produrre, di comprare, far circolare e vendere qualunque merce cambiabile con denaro, compresa la forza di lavoro.

Nella fase liberistica, il capitalismo percorre nei vari paesi i primi decenni del suo grandioso sviluppo. Le intraprese si moltiplicano ed ingigantiscono, le armate del lavoro aumentano progressivamente di numero, le merci prodotte raggiungono quantitativi colossali.

L’analisi data da Marx nel Capitale di questo classico tipo di economia capitalistica libera da qualunque vincolo statale, e delle leggi del suo svolgimento, fornisce la spiegazione delle crisi di sovrapproduzione a cui conduce la corsa senza freni al profitto, e delle brusche ripercussioni per cui l’eccesso dei prodotti e la caduta del loro prezzo determinano periodiche ondate di dissesto nel sistema, chiusura e fallimento di imprese, rovesciamento nella nera miseria di falangi di lavoratori.

A queste sue insanabili contraddizioni economiche, nel complicato processo storico pieno di multiformi aspetti locali, di avanzate e di ritorni, di ondate e di contro-ondate, il capitalismo come classe sociale ha la possibilità di reagire? Secondo la classica critica marxista, la classe borghese non possiederà mai una sicura teoria e conoscenza scientifica del divenire economico, e per la stessa sua natura e ragione di essere non potrà instaurare una disciplina delle strapotenti energie da essa suscitate, simile nel classico paragone al mago che non poteva dominare le potenze infernali evocate.

Ma ciò non va scolasticamente interpretato nel senso che manchi al capitalismo ogni possibilità di prevedere e di ritardare, per lo meno, le catastrofi a cui lo conducono le sue stesse vitali esigenze. Esso non potrà rinunziare alla necessità di produrre sempre di più, e nel suo secondo stadio esplicherà senza freni il suo compito di potenziare la mostruosa macchina della produzione, ma potrà lottare per il collocamento di una massa sempre maggiore di prodotti, che minaccerebbe di soffocarlo, ingrandendo fino ai limiti del mondo conosciuto il mercato del loro smercio. Esso entra così nella sua terza fase, quella dell’imperialismo, che presenta nuovi fenomeni economici e nuovi riflessi, che valgono ad offrire certe soluzioni alle crisi parziali e successive dell’economia borghese.

Questa fase non era certo impreveduta per Marx, perché sviluppo della produzione capitalistica e collegamento dei mercati lontani sono fenomeni originariamente e storicamente paralleli: e dialetticamente proprio la scoperta delle grandi vie di comunicazione commerciale è stato uno dei fattori principali del trionfo del capitalismo.

Ma l’analisi delle caratteristiche di questa terza fase, in coerenza completa col metodo marxista, venne data da Lenin nel suo classico studio su L’imperialismo come più recente fase del capitalismo.

Le caratteristiche di questo terzo stadio capitalistico, già evidenti nel periodo di preparazione della Prima Guerra Mondiale, sono diventate ancora più patenti dopo di essa. Il sistema capitalistico ha sottoposto ad una revisione importante i canoni che lo ispiravano nella sua fase liberistica. L’espansione sul mercato mondiale delle masse dei prodotti si è accompagnata al tentativo grandioso di controllare il gioco sconvolgente delle oscillazioni dei loro prezzi di collocamento, da cui poteva dipendere il crollo delle colossali impalcature produttive. Le imprese si sindacarono, uscirono dall’individualismo economico, dall’assoluta autonomia della ditta borghese tipica, sorsero i cartelli di produzione, i trust si associarono con rigorosi patti le imprese industriali che producevano la medesima merce, al fine di monopolizzare la distribuzione e fissarne i prezzi ad arbitrio.

E siccome la maggioranza delle merci costituisce ad un tempo il prodotto venduto da un’industria e la materia prima acquistata da un’altra successiva, sorsero i cartelli verticali, che controllano, ad esempio, la produzione di determinate macchine, fissando i prezzi di tutti i trapassi, a partire da quelli della originaria industria estrattiva del minerale ferroso. Contemporaneamente si svilupparono e si concentrarono le banche, le quali, appoggiate sui più potenti aggruppamenti capitalistici industriali di ogni paese, controllarono e dominarono i produttori minori ed andarono costituendo in ciascun grande paese capitalistico, in cerchi sempre restringentisi, vere oligarchie del capitale finanziario.

Questo, nella definizione di Lenin, assume sempre più carattere parassitario.

Il borghese non ha più la classica figura del capitano d’industria organizzatore e suscitatore di energie nuove in base a risorse e segreti della nuova tecnica, ad intelligente abilità organizzativa delle moderne forme di lavoro associato. Dio nella sua fabbrica, come nell’antico regime lo era il feudatario nelle sue terre, romantico creatore della fusione di energie tra il meccanismo di cui possiede il segreto ed i lavoratori che, prima del padrone devono in lui riconoscere il capo.

Il direttore di fabbrica moderna è anche lui un salariato, più o meno cointeressato ai guadagni, un servo dorato, ma sempre un servo. Il borghese moderno è un tecnico non della produzione, ma dell’affarismo, un riscuotitore di dividendi attraverso un pacchetto di azioni di fabbriche che forse non ha mai visto, un componente della stretta oligarchia finanziaria, un esportatore non più di merci ma di capitali e di titoli capitalistici, fasci di carte che riuniscono nelle sue mani il controllo del mondo.

La classe dominante, sempre soggetta al dinamismo della concorrenza tra ditte imprenditrici, quando si sente sulla soglia della rovina trova alla concorrenza un limite nei nuovi schemi monopolistici, e dalle sue grandi centrali dell’affarismo bancario decreta la sorte delle singole imprese, fissa i prezzi, vende sotto prezzo, quando convenga al raggiungimento dei suoi scopi, fa oscillare paurosamente valori speculativi, e tenta con sforzi grandiosi di costituire centrali di controllo e di infrenamento del fatto economico, negando la incontrollata libertà, mito delle prime teorie economiche capitalistiche.

Per intendere il senso dell’estremo sviluppo di questa terza fase del capitalismo mondiale, si deve, seguendo Lenin, porla in rapporto al corrispondente svolgimento delle forze politiche che l’accompagna, fissare il rapporto tra capitale finanziario monopolistico e Stato borghese, stabilire le sue relazioni con le tragedie delle grandi guerre imperialistiche e con la tendenza storica generale alla oppressione nazionale e sociale.

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Il ciclo storico del dominio politico della borghesia

 

Parallelamente allo svolgimento nel tempo del modo di produzione capitalistico, va considerato quello delle forme del potere politico della classe borghese.

Come dice Engels, due sono le grandi scoperte che stanno alla base del comunismo scientifico, e sono dovute a Marx. La prima consiste nell’avere individuato la legge del plusvalore, secondo la quale l’accumulazione del capitale si edifica sulla continua estorsione di una parte della forza-lavoro proletaria. La seconda è la teoria del materialismo storico, per la quale i termini dei rapporti economici e di produzione forniscono la causa e danno la spiegazione degli avvenimenti politici e di tutta la superstruttura di opinioni e di ideologie proprie delle varie epoche e dei vari tipi di società.

I fondatori del nuovo metodo teorico non appaiono dunque nella veste messianica di puri ideologi rivelatori di nuovi principii, destinati ad illuminare e trascinare le folle; essi sono, all’opposto, indagatori scientifici dei dati offerti dalla storia passata e dalla reale struttura della società presente che, sforzandosi di liberarsi in questa indagine da tutte le influenze oscurantistiche dei pregiudizi dei tempi passati, cercano di fondare un sistema di leggi scientifiche capaci di ben rappresentare e spiegare l’evoluzione storica, e, nel senso scientifico e non mistico della parola, di prevedere le grandi linee degli sviluppi futuri.

Mentre la classe borghese si faceva largo, in una lotta di secoli, nel campo dell’organizzazione produttiva e della economia, e procurava di strappare alle classi feudali e teocratiche la loro posizione di forza nel governo dello Stato, il riflesso di tale formidabile urto di interessi, svolgentesi in un aperto conflitto di forze armate fino allo scontro finale rivoluzionario che condusse al potere la borghesia, fu anche una battaglia di idee e teorie.

Le vecchie classi dominanti costruivano la loro superstruttura dottrinale sui principii della rivelazione e dell’autorità, poiché su tali principi ben si edificavano un diritto ed un costume sociale che facilitavano il controllo delle masse dominate da parte di una oligarchia di guerrieri, di nobili e di sacerdoti. La fonte della verità veniva posta in antiche immutabili tavole, dettate da menti e potenze superiori alla umana ragione, costituenti norma al vivere collettivo, e, più da vicino, in testi antichi di sapienti e di maestri, ai quali si deve risalire per dedurre dalla lettera dei versetti e dei passi la spiegazione di ogni nuovo quesito del sapere e dell’operare umano.

La nascente borghesia rivoluzionaria ebbe come sua arma la critica svolta dal moderno pensiero filosofico al principio di autorità. Si lanciò audacemente in tutte le direzioni a rovesciare il dubbio su tutte le concezioni tradizionali, proclamò contro il dominio dell’autorità quello della ragione umana; minò il dogma religioso per poter minare l’impalcatura statale feudale fondata sulla monarchia di diritto divino e sulla solidarietà di classe tra la nobiltà terriera e le gerarchie ecclesiastiche.

Costruì così una nuova e moderna impalcatura ideologica, che volle presentare come di portata universale e definitiva, come trionfo della verità contro la menzogna dell’oscurantismo religioso e assolutistico. In effetti, tale nuova impalcatura ideologica, alla luce della critica marxistica, non è che una nuova costruzione rispondente ai nuovi rapporti di classe ed alle nuove esigenze della classe assurta al potere.

Nel campo politico, la borghesia condusse l’assalto rivoluzionario al potere dello Stato, e se ne servì per infrangere tutti i vecchi vincoli allo svolgimento delle forze economiche di cui era l’espressione.

La lotta si svolse come una guerra civile, una guerra di classe, tra la guardia bianca dell’antico regime feudale e le falangi rivoluzionarie borghesi.

Negli aspetti classici della Rivoluzione Francese era il Terzo Stato che dapprima reclamava la sua parte nei pubblici ordinamenti monopolio fino allora della aristocrazia e del clero, e che ben presto si proponeva di escludere radicalmente da ogni influenza politica queste classi reazionarie.

Una nuova minoranza dominante, quella dei padroni della manifatture e delle fabbriche e dei grandi commercianti, si sostituiva alle antiche minoranze privilegiate. Ma in realtà tale sostanziale aspetto del trapasso non era apertamente dichiarato dai pensatori e dai partiti del nuovo regime; ché anzi essi stessi non lo comprendevano, pure agendo nel senso della irresistibile pressione dei nuovi potenti interessi di classe.

Tutto il movimento, come nella lotta materiale utilizzava la forza delle masse della popolazione costituite da nullatenenti e da lavoratori, il Quarto Stato, così nella impostazione ideologica vantava di ispirarsi a principi corrispondenti agli interessi generali; ed ancora una volta questi principii non erano interpretati e presentati come forme transitorie sovrapposte ad una speciale svolta dei rapporti sociali, ma come valori assoluti ed universali regolanti il divenire dell’umanità. La superstizione delle antiche mitologie veniva derisa, ma, in nome del dubbio scientifico, della libera critica e della ragione veniva proclamata una nuova mitologia di concetti e valori generali, e le dichiarazioni rivoluzionarie dei borghesi vincitori parlavano dei Diritti dell’uomo e del cittadino, proclamavano l’avvento della Libertà, dell’Eguaglianza e della Fraternità come retaggio degli uomini tutti.

Comunque, in questa svolta storica, il Quarto Stato, la grande massa dei lavoratori sacrificati in vecchie e nuove forme al benessere dei ceti privilegiati, non poteva né possedere le armi critiche per comprendere la reale portata del trapasso, né esitare a sostenere la borghesia rivoluzionaria nella sua fase assaltatrice ed eroica contro le posizioni del passato.

In tale fase, la politica borghese non vede alcuna contraddizione tra le sue rivendicazioni filosofiche della libertà di opinione ed azione politica per tutti, e la lotta con tutti i mezzi della dittatura e del terrore contro i ritorni armati delle forze dei vecchi regimi nella guerra civile e nelle aggressioni da oltre frontiera. Il borghese sanculotto ateo ed enciclopedista non trova contraddizione tra la Crociata per la nuova Dea Libertà e l’impiego sistematico della ghigliottina per togliere al suo nemico di classe la libertà di agire a difesa degli antichi suoi privilegi. Il nascente proletariato crede nella promessa della libertà per tutti, ma aiuta la borghesia sorta al potere nella repressione spietata dei controrivoluzionari.

La prima fase del dominio politico borghese consiste dunque nella lotta rivoluzionaria armata per conquistare il potere e nell’esercizio di una dittatura di classe per estirpare tutti i residui del vecchio organamento sociale e reprimere ogni tentativo di riscossa reazionaria.

A questa prima fase del regime politico borghese, nella complessità dei suoi aspetti nei vari paesi moderni e nell’alterna vicenda dei conati della reazione assolutistica e delle nuove ondate rivoluzionarie che finiscono col sommergerli, segue generalmente nel mondo moderno e nei paesi a maggiore sviluppo economico un secondo e lungo stadio, nel quale gli orrori e gli eccessi della rivoluzione appaiono relegati nell’ombra, e la nuova classe dominante, assisa solidamente al controllo politico della società, riesce ad ostentare nel miglior modo la pretesa coerenza della sua gestione del mondo con tutto l’armamentario metafisico dei suoi ideologismi di libertà, di giustizia e di eguaglianza.

Nel puro diritto non vi sono più caste separate, ogni cittadino sta verso lo Stato teoricamente nello stesso rapporto di tutti gli altri cittadini, ed ha la stessa facoltà di delegare nei suoi organi i rappresentanti che meglio preferisce e che riflettono le sue opinioni ed anche i suoi interessi.

Il sistema parlamentare della democrazia borghese vive la sua epoca aurea e proclama che dopo la fondamentale promulgazione dell’uguaglianza giuridica e politica la via è aperta, senza ulteriori scontri rivoluzionari e senza più ripetere la tragedia del terrore, ad ogni svolgimento verso la sempre migliore convivenza degli uomini in un migliore stato sociale.

La critica proletaria rivoluzionaria già da alcune generazioni ha radicalmente smascherata questa gigantesca menzogna. La libertà politica e giuridica corrisponde nella reale valutazione economica dei rapporti ad una libertà di vendere le proprie braccia ed il proprio lavoro, che è in effetti uno stato di feroce necessità per la maggioranza degli uomini, non presentando altra alternativa che la fame.

In politica, lo Stato non è l’espressione della volontà maggioritaria popolare, ma il comitato di interessi della classe borghese dominante, ed il meccanismo parlamentaristico non può rispondere che a favore degli interessi di questa.

In filosofia, il dominio della ragione non è che un inganno, poiché il libero uso del cervello umano, strappato a quanto sembra ai divieti delle scomuniche del prete e dei rigori della polizia assolutista, non è che una illusione quando lo limita assai più spietatamente la negata possibilità e libertà di soddisfare le esigenze fisiologiche materiali che condizionano tutta la dinamica dell’individuo.

Secondo le impostazioni romantiche della letteratura borghese di questo periodo arcadico, in ogni villaggio c’era uno spegnitoio - il prete - e c’era una luce - il maestro; ma la menzogna dell’educazionismo e del culturismo democratico sta nel fatto che non si può attendere dall’uomo ch’esso prima si dia una libera e cosciente opinione e poi ottenga la possibilità di soddisfare i suoi interessi ed i suoi appetiti; ché anzi la via scientificamente logica è la contraria, perché l’uomo dovrà prima ben mangiare e poi potrà ben opinare.

Oltre alla critica teorica dei rivoluzionari proletari, i fatti della storia più recente vanno disperdendo nel limbo dei fantasmi del passato questa impalcatura ipocrita della ideologia democratica. Mentre gli scontri tra le classi divise nello stesso paese da opposti interessi non hanno mai taciuto, malgrado tutte le panacee del sistema rappresentativo borghese, lo svolgersi delle nuove forme economiche monopolistiche del capitalismo, le lotte per il predominio coloniale, hanno precipitato i popoli in crisi sconvolgenti ed in sanguinosi massacri che hanno superato di gran lunga quelli dell’epoca di avanzata rivoluzionaria della borghesia.

Il capitalismo non soltanto ha avuto logico bisogno della violenza armata per aprire le vie del divenire storico, ma impiega e produce violenza ad ogni fase del suo sviluppo.

Poiché, a mano a mano che il potenziale della produzione industriale si elevava, crescevano di numero le armate del lavoro, si precisava la coscienza critica del proletariato e si irrobustivano le sue organizzazioni, la classe borghese dominante, parallelamente alla trasformazione della sua prassi economica da liberistica in interventistica, ha la necessità di abbandonare il suo metodo di apparente tolleranza delle idee e delle organizzazioni politiche per un metodo di governo autoritario e totalitario; ed in ciò sta il senso generale dell’epoca presente. Il nuovo indirizzo dell’amministrazione borghese del mondo fa leva sul fatto innegabile che tutte le attività umane, per lo stesso effetto dei progressi della scienza e della tecnica, si svolgono dall’autonomismo delle iniziative isolate, proprio di società meno moderne e complesse, verso l’istituirsi di reti sempre più fitte di rapporti e di dipendenze in tutti i campi, che gradualmente vanno coprendo il mondo intiero.

L’iniziativa privata ha compiuto i suoi prodigi e battuto i suoi primati dalle audacie dei primi navigatori alle imprese temerarie e feroci dei colonizzatori delle più lontane zone del mondo. Ma ora cede il passo di fronte al prevalere dei formidabili intrecci delle attività coordinate, nella produzione delle merci, nella loro distribuzione, nella gestione dei servizi collettivi, nella ricerca scientifica in tutti i campi.

Non è pensabile un’autonomia di iniziative nella società che dispone della navigazione aerea, delle radio-comunicazioni, del cinema, della televisione, tutti ritrovati di applicazione esclusivamente sociale.

Anche quindi la politica di governo della classe imperante, da vari decenni a questa parte e con ritmo sempre più deciso, si evolve verso forme di stretto controllo, di direzione unitaria, di impalcatura gerarchica fortemente centralizzata.

Questo stadio e questa forma politica moderna, sovrastruttura che nasce dal fenomeno economico monopolistico ed imperialistico previsto da Lenin fin dal 1916 col dire che le forme politiche della più recente fase capitalistica possono essere soltanto di tirannia e di oppressione, questa fase che tende a sostituire generalmente nel mondo moderno quella del liberalismo democratico classico, non è altro che il fascismo.

Enorme errore scientifico e storico è il confondere questo sorgere di una nuova forma politica imposta dai tempi, conseguenza e condizione inevitabile del sopravvivere del sistema capitalistico di oppressione alla erosione dei suoi contrasti interni, con un ritorno reazionario delle forze sociali delle classi feudali, le quali minaccino di sostituire alle forme democratiche borghesi una restaurazione dei dispotismi dell’ancien régime; laddove la borghesia già da secoli ha posto fuori combattimento ed annientato nella maggior parte del mondo queste forze sociali feudali.

Chiunque senta minimamente l’effetto di una tale interpretazione e ne segua minimamente le suggestioni e le preoccupazioni è fuori del campo e della politica comunista.

La nuova forma con la quale il capitalismo borghese amministrerà il mondo, se e fino a quando non lo travolgerà la rivoluzione del proletariato, va facendo la sua apparizione con un processo che non va decifrato coi banali e scolastici metodi del critico filisteo.

Da parte marxista non si è fatto mai conto dell’obiezione che il primo esempio di potere proletario dovesse essere dato da un paese industriale progredito e non dalla Russia zarista e feudale, in quanto l’avvicendamento dei cicli di classe è fatto internazionale e giuoco di forze su scala mondiale, che localmente si manifesta dove concorrono le favorevoli condizioni storiche (guerra, sconfitta, sopravvivenza eccessiva di regimi decrepiti, buon organamento del partito rivoluzionario, ecc.).

Meno ancora deve stupire se le manifestazioni del trapasso dal liberalismo al fascismo possono presentare dialetticamente presso i singoli popoli le più svariate successioni, giacché si tratta di un trapasso meno radicale, in cui non è la classe dominante che muta, ma solo la forma del suo dominare.

Il fascismo adunque può dal punto di vista economico definirsi come un tentativo di autocontrollo e di autolimitazione del capitalismo tendente a frenare in una disciplina centralizzata le punte più allarmanti dei fenomeni economici che conducono a rendere insanabili le contraddizioni del sistema.

Dal punto di vista sociale può definirsi il tentativo da parte della borghesia, nata con la filosofia e la psicologia dell’assoluto autonomismo ed individualismo, di darsi una coscienza collettiva di classe, e di contrapporre propri schieramenti ed inquadrature politiche e militari alle forze di classe minacciosamente determinatesi nella classe proletaria.

Politicamente, il fascismo costituisce lo stadio nel quale la classe dominante denunzia come inutili gli schemi della tolleranza liberale, proclama il metodo del governo di un solo partito, e liquida le vecchie gerarchie di servitori del capitale troppo incancreniti nell’uso dei metodi dell’inganno democratico.

Ideologicamente, infine, il fascismo (e con ciò rivela di non essere non solo una rivoluzione, ma nemmeno una sicura universale risorsa storica della controrivoluzione borghese) non rinunzia, perché non può farlo, a sbandierare una mitologia di valori universali e, pur avendoli dialetticamente capovolti, fa suoi i postulati liberali della collaborazione delle classi, parla di nazione e non di classe, proclama l’equivalenza giuridica degli individui, gabella sempre la propria impalcatura statale come riposante sulla intiera collettività sociale.

I punti di appoggio della nuova mitologia borghese non saranno più la Libertà, l’Eguaglianza, ma saranno la Nazione, la Patria, la Razza, lo Stato stesso quasi deificato.

Ad ogni imbarazzo teorico e filosofico, serviranno le stesse risorse con le quali il filisteo borghese cercava di sfuggire allo smascheramento realistico e scientifico del suo apparato ideologico, gli insopprimibili sopra-umani valori dello spirito, insito che lo si voglia nella mente dell’uomo o promanante da una divinità compiacente sempre per le ricette farisaiche di tutti i parassiti e di tutti gli oppressori.

Comunque, in economia col monopolismo e col capitalismo di stato, socialmente con l’aperto assalto di guardie bianche agli inquadramenti di classe del proletariato rivoluzionario, politicamente con la soppressione più o meno accelerata della buffonesca canea dei partiti multipli e dei multicolori scribi dell’ambiente parlamentaristico, ideologicamente con l’impiego di tutto il bagaglio ingannatore delle pretese idee universali e delle investiture di missioni supreme, il capitalismo passerà ovunque attraverso questa fase, sapendo di trovarsi nell’alternativa o di disperdere ed impedire l’avanzata della classe rivoluzionaria, o di dover cadere nella catastrofe finale.

Una prima manifestazione storica di questa terza fase borghese ha potuto aversi in Italia, non certo per speciali caratteristiche di sviluppo del capitalismo italiano, ma per il concorrere di condizioni della storia internazionale influenti sulle vicende italiane: guerra vinta ma con conseguenze pari a quelle di una sconfitta, crisi economica dovuta all’alta densità della popolazione ed alla mancanza di mercati di sbocco per merci e per forze di lavoro, slancio in avanti con intendimenti di una politica autonoma ed estremistica delle classi sfruttate, instabilità storica relativa dell’apparato statale, ecc.

Una manifestazione di ben altra portata si è avuta in Germania, dove il capitalismo, sulla trama di una potente struttura produttiva uscita intatta dalla guerra perduta, ha tentato di bruciare le tappe per portarsi alla pari dei capitalismi rivali, quando questi lo hanno stretto in una cerchia di acciaio, dentro la quale la pressione delle forze sociali contrastanti ha raggiunto massimi esasperati; dove si era posto nel modo più inesorabile il dilemma storico mostrato da Lenin al mondo nel 1919: organizzazione mondiale dell’economia da parte del capitalismo o da parte del lavoro - dittatura spietata della borghesia o dittatura del proletariato.

Come Lenin stabilì, nella diagnosi economica, che è un reazionario chi si illude che il capitalismo monopolistico e statalista possa retrocedere al capitalismo liberista delle prime forme classiche, così oggi va chiaramente detto che lo è ugualmente chi insegue il miraggio di una riaffermazione del metodo politico liberale democratico contrapposto a quello della dittatura fascista, con la quale, ad un certo punto della evoluzione, le forze borghesi stritolano con tattica frontale le autonome organizzazioni di classe del proletariato.

La dottrina del partito proletario deve porre come suo cardine la condanna della tesi che, dinanzi alla fase politica fascista del dominio borghese, debba essere data la parola del ritorno al sistema parlamentare democratico di governo, mentre all’opposto la prospettiva rivoluzionaria è che la fase totalitaria borghese esaurisca rapidamente il suo compito e soggiaccia al prorompere rivoluzionario della classe operaia, la quale, lungi dal lacrimare sulla fine senza rimedio delle menzognere libertà borghesi, passi a stritolare con la sua forza la Libertà di possedere, di opprimere e di sfruttare, bandiera del mondo borghese, dal suo primo nascere eroico tra le fiamme della rivoluzione antifeudale al suo divenire nella fase pacifista della tolleranza liberale, al suo spietato svelarsi nella battaglia finale per la difesa delle istituzioni, del privilegio e dello sfruttamento padronale.

La guerra in corso è stata perduta dai fascisti, ma vinta dal fascismo. Malgrado l’impiego su vastissima scala dell’imbonitura democratica, il mondo capitalistico avendo salvato, anche in questa tremenda crisi, la integrità e la continuità storica delle sue più possenti unità statali, realizzerà un ulteriore grandioso sforzo per dominare le forze che lo minacciano, ed attuerà un sistema sempre più serrato di controllo dei processi economici e di immobilizzazione dell’autonomia di qualunque movimento sociale e politico minacciante di turbare l’ordine costituito. Come i vincitori legittimisti di Napoleone dovettero ereditare l’impalcatura sociale e giuridica del nuovo regime francese, i vincitori dei fascisti e dei nazisti, in un processo più o meno breve e più o meno chiaro, riconosceranno con i loro atti, pur negandola con le vuote proclamazioni ideologiche, la necessità di amministrare il mondo, tremendamente sconvolto dalla seconda guerra imperialistica, con i metodi autoritari e totalitari che ebbero il primo esperimento negli Stati vinti.

Questa verità fondamentale, più che essere il risultato di difficili ed apparentemente paradossali analisi critiche, ogni giorno di più si manifesta nel lavoro di organizzazione per il controllo economico, sociale, politico del mondo.

La borghesia, una volta individualista, nazionale, liberista, isolazionista, tiene i suoi congressi mondiali e, come la Santa Alleanza tentò di fermare la rivoluzione borghese con un’Internazionale dell’assolutismo, così oggi il mondo capitalistico tenta di fondare la sua Internazionale, che non potrà essere che centralista e totalitaria.

Riuscirà questa nel suo compito storico essenziale che, sotto la parola della repressione di un risorgere del fascismo, è invece nel fatto e sempre più manifestamente quello di reprimere e frantumare la forza rivoluzionaria dell’Internazionale del proletariato?

 

 

Partito comunista internazionale

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